DIS- COLL per co.co.co e dottorandi

24 Giugno 2017- Con la circolare n. 115 del 19 luglio l’Inps definisce le linee guida relative alla richiesta dell’indennità di disoccupazione destinata, secondo la legge 81/17 (ben nota come Jobs act del lavoro autonomo) a co.co.co e collaboratori a progetto nonché ad assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio. Restano comunque esclusi gli amministratori, i sindaci e i revisori di società e associazioni.

I requisiti per beneficiare della DIS-COLL sono, contestualmente, lo stato di disoccupazione al momento della richiesta e il versamento di almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno civile precedente l’evento della cessazione del lavoro.

L’indennità copre, inoltre, un numero di mensilità pari alla metà dei mesi di contribuzione accreditati dal 1° gennaio dell’anno civile precedente la perdita dell’impiego fino al momento della cessazione per un massimo di 6 mesi. L’assegno di indennità è pari al 75% del reddito imponibile ai fini previdenziali.

In merito ai termini entro cui far richiesta dell’indennità di disoccupazione, la circolare precisa che la domanda, da inviare telematicamente all’Inps, deve necessariamente pervenire entro 68 giorni dalla data di cessazione del rapporto lavorativo.

 

Limite di 25 anni per il “job on call”:…

24 Giugno 2017- La Corte di giustizia UE decreta, con una sentenza depositata lo scorso 19 luglio, che il requisito anagrafico previsto dalla normativa italiana circa il contratto a chiamata “Job on call” è legittimo in quanto funzionale a favorire l’occupazione giovanile, permettendo così ai ragazzi sotto i 25 anni di beneficiare di una prima occupazione che faciliti poi la ricerca di un impiego stabile.

Con la sentenza della Corte UE è  quindi chiaro che il limite anagrafico fissato dalla normativa non ha  carattere discriminatorio e viene riconosciuta alle aziende l’esigenza di un “mezzo flessibile, meno vincolante e meno costoso del contratto ordinario”. Tuttavia occorre ricordare che il contratto a tempo indeterminato resta comunque l’obiettivo principale da promuovere; nonostante ciò gli Stati membri, aggiunge la Corte UE, non sono obbligati ad opporsi  a forme meno rigide che favoriscano l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani, arginando così episodi di lavoro sommerso e condizioni di disagio sociale.

Jobs act autonomi, maggiori tutele per le Partite IVA

15 giugno 2017- Jobs act per gli autonomi finalmente in vigore in seguito alla  pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge 81/2017. Maggiori garanzie e riconoscimento dello “Smart Working” alla base delle nuove disposizioni del Governo in merito al lavoro autonomo, che punta a cambiare e migliorare le tutele per le partite IVA. Le prima novità sostanziale riguarda la possibilità di beneficiare di 6 mesi (a differenza dei 3 mesi previsti dalle disposizioni precedenti) di congedo parentale  nei primi 3 anni di vita del bambino da parte degli iscritti alla gestione separata dell’INPS.  Dal 1 luglio 2017, inoltre, il  sussidio di disoccupazione, chiamato Dis coll, diventa permanente ed è esteso anche a collaboratori, assegnisti e dottorandi di ricerca beneficiari di borse di studio. Tutele maggiori anche riguardo ai compensi per le prestazioni che dovranno necessariamente aver luogo entro un termine preconcordato e comunque inferiore ai 60 giorni dall’emissione della fattura (i  giorni scendono a  30 in caso di mancato accordo). Ai lavoratori autonomi sarà inoltre dedicato uno sportello apposito presso i Centri per l’Impiego, per favorire l’incontro tra domanda e offerta.

Nuovi Voucher, oggi la fiducia in Senato

15 giugno 2017- Fiducia oggi in Senato per i  nuovi voucher: il  “libretto famiglia” e il  “contratto di prestazione occasionale” (PrestO) saranno dunque disponibili per famiglie e aziende. “ La norma risponde alla necessità di dotare l’Italia di una regolamentazione seria del lavoro occasionale, che consenta di combattere il lavoro nero e difendere i diritti dei lavoratori”- afferma la Ministra Finocchiaro, titolare dei Rapporti con il Parlamento, soprattutto in vista delle assunzioni stagionali dell’estate 2017. I dubbi restano comunque tanti, considerando di quanto la nuova disciplina del lavoro occasionale nelle aziende manchi di coperture in caso malattia, maternità, ferie e disoccupazione.

Lavoro occasionale e subordinazione

8 giugno 2017- Ancora dubbi circa l’evoluzione della disciplina delle prestazioni occasionali. La norma, già approvata dalla Camera, è ora in esame al Senato e prevede novità significative rispetto ai vecchi voucher. Tra le novità vi sono maggiori regole da seguire, maggiore tracciabilità  e vigilanza da parte dell’INPS per arginare il rischio di abuso del lavoro occasionale ; due inoltre sono le soluzioni pensate a seconda del committente della prestazione.

Un libretto telematico acquistabile tramite il sito INPS è infatti destinato alle famiglie, con un limite di 2.500 euro per ciascun prestatore di lavoro ad ogni singolo utilizzatore per un totale complessivo di 5.000 euro annui.

Piccole imprese, professionisti, enti no profit e pubblica amministrazione, invece, potranno utilizzare un contratto di prestazione occasionale  per un massimo di 280 ore annue; il contratto è  destinato esclusivamente ad  aziende che abbiano al massimo 5 dipendenti a tempo indeterminato e prevede un tetto di 5mila euro , pur restando il limite di 2.500 euro di retribuzione da singolo committente; tra i limiti posti, in aggiunta, vi sono divieti per  prestazioni in appalti di opere o servizi, nell’edilizia e nel settore agricolo (tranne che in diverse eccezioni).

A contraddistinguere la nuova norma vi è però il criterio di occasionalità o saltuarietà delle mansioni  (e quindi alla natura quantitativa delle prestazioni svolte) che rappresenta un punto critico in quanto si corre il rischio che, non essendoci un requisito qualitativo della prestazione, potrebbe comportare l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato e non di un contratto occasionale.

Riforma PA: gli ostacoli nel rinnovo dei contratti

29 maggio 2017- L’approvazione della riforma del pubblico impiego ha rappresentato il primo passo per procedere al rinnovo dei contratti, eppure si presentano già enormi interrogativi che rischiano di frenare l’operazione di rinnovo vero e proprio.

La mancanza di fondi è, al momento, il primo ostacolo da sormontare: la manovra d’autunno dovrà provvedere ai 1,2 miliardi necessari da investire nello Stato per arrivare agli 85 euro a regime promessi, mentre per i  restanti 1,2 miliardi da investire fra regioni, sanità ed enti locali occorrerà attingere al fondo sanitario e dei bilanci locali. Una volta trovati i fondi, poi, si presenterà la necessità di attendere alla promessa di aumento delle assunzioni della manovrina di primavera e nuovi contratti, ulteriore nodo spinoso.

Resta in aggiunta  il dilemma della tempistica: il rinnovo afferirà al triennio 2016-2018, eppure solo dal prossimo anno si avrà  la copertura piena delle trattative; il problema della mancanza dei fondi da stanziare, però, rende improbabile la capacità di stesura ed approvazione di una direttiva da parte della Ragioneria.

Altro punto critico è rappresentato dalla distribuzione degli aumenti tra i 3 milioni di dipendenti pubblici. Come ribadito più volte dalla ministra della PA Madia, gli aumenti dovranno interessare in primis  le fasce di reddito più basse con la premessa che essi però non differiscano troppo da settore a settore, per cui sarà difficile trovare  un accordo se si pensa alle enormi differenze che intercorrono tra essi.

I nuovi contratti si propongono infine una riorganizzazione della pubblica amministrazione, i quali comparti sarebbero stati già ridotti a 5 (con Palazzo Chigi autonomo) rispetto agli undici precedenti. A creare perplessità restano gli accorpamenti nei comparti della “conoscenza” (che ingloba scuola e personale non docente delle università)  e della Pubblica Amministrazione centrale ( formato da ministeri, agenzie fiscali e enti pubblici): data l’evidente varietà della composizione dei comparti, l’ obbiettivo principale degli accorpamenti, che corrispondeva alla volontà di armonizzare gli stipendi, stride con le enormi disparità dei profili professionali  specifici interni la cui tutela  prevederà misure ad hoc.  Dubbi esiti si prevedono quindi per la dirigenza e le agenzie fiscali che rivendicano la loro autonomia gestionale.

Il lavoro agile nella pubblica amministrazione

26 maggio 2017-Lo smart working approda alla pubblica amministrazione con l’approvazione della direttiva in in cui vengono precisate le linee guida per guidare l’accordo tra datore di lavoro e dipendente. Ad applicare la direttiva saranno tutte le amministrazioni pubbliche statali e potranno beneficiare dello smart working tutti i dipendenti, in quanto non è stata esclusa preventivamente alcuna categoria o tipologia contrattuale.

Nell’invito a preferire la  sperimentazione di  questa nuova forma lavorativa come possibilità ulteriore al telelavoro, viene comunque ribadito quanto sia  necessaria una  riorganizzazione completa: dal  luogo in cui svolgere il lavoro, all’uso e alla diffusione di tecnologie digitali indispensabili per il lavoro a distanza, fino all’introduzione di forme di controllo e di accordi che definiscano la reperibilità del dipendente. Perché inoltre lo smart working non risulti essere un mezzo attraverso cui estromettere i dipendenti, ai dirigenti è richiesta la promozione di misure (da intendersi come percorsi formativi, informativi e progetti) che permettano ai lavoratori smart  di restare in contatto continuo con  il contesto lavorativo di cui fanno parte.

L’obbiettivo che ci si propone è quello di ottenere che, alla fine del periodo di sperimentazione, almeno il 10% del personale possa utilizzare la formula del lavoro agile.

Licenziamenti nel pubblico impiego secondo la Riforma Madia

26 maggio 2017-Il decreto legislativo approvato dal Governo sul pubblico impiego pone un accento particolare sulla disciplina dei licenziamenti, argomento spesso controverso e con esiti molteplici.

Tra le novità sostanziali appare l’introduzione di  un codice disciplinare che amplia il range di casistiche in cui il licenziamento del lavoratore risulta legittimo, come ad esempio il caso in cui il dipendente reiteri le proprie negligenze d inosservanze del codice di comportamento per tre anni consecutivi.

Oltre al licenziamento legittimo,  il decreto disciplina il regime sanzionatorio da applicare,  invece, ai licenziamenti ingiustificati. Con la nuova normativa, infatti, al lavoratore licenziato senza giusta causa spetterebbe la reintegrazione del posto di lavoro accompagnata da  un risarcimento aggiuntivo.

In precedenza le sentenze relative agli eventi di  licenziamento ingiustificato nel settore pubblico mostravano due tendenze: nel primo caso era prevista la piena applicazione delle regole introdotte dalla legge Fornero nel 2012 ( riservate ai dipendenti privati ma estensibili anche ai  dipendenti pubblici) la quale prevedeva delle limitazioni alla reintegrazione come sanzione e un ampliamento della tutela risarcitoria; nel secondo caso invece emergeva l’inapplicabilità della legge Fornero e si procedeva, in caso di licenziamento ingiustificato di un dipendente pubblico, con l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in cui la reintegrazione veniva applicata come sanzione tipica e al lavoratore spettava il pieno risarcimento del danno.

L’art. 21, in cui è regolamentata la disciplina del licenziamento ingiustificato nel decreto appena varato dal Governo, si pone come sunto delle  due tendenze sopraindicate. I punti cardine dell’articolo rimangono la centralità della reintegrazione sul posto di lavoro (come nell’art. 18 dello Statuto)  a cui è però aggiunto un tetto massimo del risarcimento ( ispirato quindi alle limitazioni poste dalla Fornero); il limite per l’indennità di reintegro con il decreto corrisponde infatti a 24 mensilità,  e l’importo del risarcimento è calcolato attraverso il parametro della retribuzione utile ai fini del TFR alla cui  somma va  detratto l’eventuale aliunde perceptum (ossia la retribuzione che il lavoratore ha percepito da altri datori di lavoro con i quali abbia instaurato un rapporto di lavoro successivamente al licenziamento); il risarcimento deve infine essere accompagnato dal  versamento dei contributi previdenziali.

Se da un lato il decreto in merito ai licenziamenti ingiustificati si pone come tutela per i licenziamenti futuri, non risolve i licenziamenti avvenuti in passato in quanto non gode di portata retroattiva; resterebbero quindi non disciplinati tutti quegli eventi di licenziamento illegittimo precedenti all’entrata in vigore della nuova norma.

Nonostante la risoluzione interpretativa rappresentata dal decreto, esso non rende più semplice la disciplina dei licenziamenti nel settore del pubblico impiego  bensì la rende  più complessa aggiungendo ulteriori casistiche ad una sfilza già ben nutrita di condizioni.

Riforma pensioni 2017: Gentiloni firma l’Ape social

23 maggio 2017 – Il premier Gentiloni, nel pomeriggio di Lunedì 22 maggio ha firmato i decreti attuativi riguardanti l’anticipo pensionistico.

COS’E’

L’Ape social – la misura sperimentale in vigore fino al 31 dicembre 2018 –  è un’indennità di natura assistenziale atta ad  agevolare la transizione verso il pensionamento per soggetti svantaggiati; tale indennità è   a carico dello Stato  ed è erogata dall’Inps  fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia o anticipata.

A CHI E’ DESTINATA

L’indennità è rivolta a soggetti in stato di bisogno che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non risultino titolari di pensione diretta.  Nello specifico dunque possono presentarne  richiesta:

  • disoccupati che non possono più beneficiare di ammortizzatori sociali;
  • lavoratori, sia dipendenti che autonomi, che da almeno sei mesi precedenti al momento della richiesta prestano assistenza un coniuge o un parente di primo grado (convivente)  con handicap in situazione di gravità;
  • lavoratori, dipendenti e autonomi, con invalidità superiore o uguale al 74%;
  • lavoratori che svolgono da almeno 6 anni (in modo continuativo) le mansioni di: operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e pellicce; operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; conduttori di mezzi pesanti e camion; personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza; insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido; facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati; personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti.

 

TERMINI PRESENTAZIONE RICHIESTA

I soggetti che rispondono ai requisiti sopraindicati nel 2017, possono presentare domanda entro il 15 luglio. Per coloro i quali, invece, matureranno  i requisiti entro il  2018, la scadenza fissata per la presentazione della richiesta dell’indennità è il 31 marzo 2018. Nella norma si specifica, in aggiunta, che: “le domande presentate oltre il 15 luglio 2017 e il 31 marzo 2018 e comunque non oltre il 30 novembre sono prese in considerazione esclusivamente se all’esito del monitoraggio residuano le necessarie risorse finanziarie”. Per i soggetti  che, inoltre, hanno maturato i requisiti dal 1° maggio è garantita corresponsione dell’anticipo pensionistico (fino a 1.500 euro lordi al mese) con una retrodatazione.

Viene inoltre specificato, nella norma, che l’indennità Ape social non è cumulabile con altri redditi da lavoro 4.800 e 8.000 euro l’anno, essendo tale indennità ben distinta da qualunque prestazione previdenziale.