30/10/2020 – DECRETO RISTORI E EMERGENZA INCALZANTE

Il Decreto Ristori, varato dal Consiglio dei Ministri martedì 27 ottobre 2020, prevede risorse immediate (e a fondo perduto), da destinare a tutte quelle attività commerciali e di quei lavoratori interessati dalle ultime misure restrittive contenute nel Dpcm dello scorso 25 ottobre. Un sostegno economico del valore complessivo di 5,4 miliardi di euro, che riguarda anche il comparto agricolo e il settore Horeca per un totale di 100 milioni di euro.

Per le imprese delle filiere agricole, pesca e acquacoltura coinvolti dalle misure restrittive, sono previsti contributi a fondo perduto a chi ha avviato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 e a chi ha subito un calo del fatturato superiore al 25% nel novembre 2020 rispetto al novembre 2019.

Inoltre, per tutto il settore agricolo, è prevista la cancellazione della rata di novembre dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali. Le misure di sostegno alle imprese appartenenti alle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura sono definite all’articolo 7 del Decreto Ristori e all’articolo 16.

Queste risorse hanno l’obiettivo di aiutare non solo chi è costretto a chiudere, al fine di contrastare la diffusione del Covid-19, ma anche chi fornisce quotidianamente il canale Horeca. Una percentuale significativa del prodotto agroalimentare italiano viene venduta a ristoranti, pizzerie e altre attività similari, ma, con la chiusura di questi esercizi per un tempo così prolungato (fissato finora al 24 novembre), la filiera agricola potrebbe uscirne pesantemente danneggiata.

Le misure di sostegno varate sembrano essere ancora un tappa buchi temporaneo ad una situazione di emergenza che si sta delineando sempre più vicina allo scenario 4 cosi come delineato dall’Istituto Superiore di Sanità che così lo descrive: “situazione di trasmissibilità non più controllata, con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente maggiori di 1,5”.

Chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali si stanno già delineando, e il rischio è quello già annunciato di trovarci con una crescita tale del numero di contagi da comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali. La situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo si preannuncia più lunga e difficile da risollevare rispetto alla precedente, a causa delle incertezze e ritardi nella gestione.

L’urgenza adesso è di far fronte al contagio che corre ogni giorno, e investire subito nel sistema sanitario che in questi mesi passati non si è dotato dei giusti strumenti per far fronte all’emergenza che si sta delineando. Stando a quanto dichiarato dal Ministro Gualtieri i fondi per la sanità ci sono e già disponibili, indipendentemente dall’utilizzo del Mes (o Fondo-Salva Stati). A quanto affermato dal ministro, pare che sinora le regioni abbiano usato solamente un terzo dei fondi che il governo ha già messo a loro diposizione per fronteggiare l’emergenza e parliamo di una dote di 3,4 miliardi di euro e di questi circa 2 miliardi destinati al potenziamento delle strutture sanitarie. E ad oggi pare ne siano stati spesi solo 734 milioni.

Posti letto, tamponi, tracciamento: sono questi i fronti su cui l’Italia è già impreparata. E la responsabilità va sia ai ritardi che ci hanno fatto perdere tempo utile per organizzare al meglio la reazione alla nuova fase critica della pandemia, sia il mancato utilizzo di fondi già disponibili e destinati proprio a dotare e preparare il sistema sanità al meglio. Avere le possibilità, in tal caso economiche, e non sfruttarle al meglio fa di chi ne è gestore il responsabile del collasso al quale potremmo andare in contro.

27/10/2020 – DAI “RISTORI” NESSUNO ESCLUSO

Il DPCM firmato il 24 ottobre scorso sancisce nuove restrizioni anti Covid in vigore fino al prossimo 24 novembre e che vedono, tra le altre misure, la chiusura al pubblico dalle 18 per bar, ristoranti, pub, gelaterie e pasticcerie, consentendo il consumo al tavolo per un massimo di quattro clienti, tutti conviventi.  Permessa dalle 18 in poi invece la ristorazione con consegna a domicilio, fino alle ore 24, così come la ristorazione con asporto con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Le attività dei servizi di ristorazione saranno consentite dalle 5 di mattina.

Lo stop alle 18 per la ristorazione così disposto, ha già effetti diretti sull’intera filiera agroalimentare, un così drastico crollo dell’attività di ristorazione pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco e addirittura per alcuni settori come quello del vino la ristorazione e il consumo fuori casa rappresentano i maggiori canali di business. Lo stesso potenziamento dello smart working riduce drasticamente il lavoro di tutti quei locali pubblici che sulla pausa pranzo hanno fissato il loro investimento maggiore.

Pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima della pandemia rappresentavano una buona fetta sul totale dei consumi alimentari degli italiani, che ora l’emergenza in corso corre a limitare.

Nell’attività di ristorazione sono coinvolte centinaia di migliaia di attività tra bar, mense e ristoranti, oltre a migliaia di industrie alimentari e aziende agricole, quale parte della filiera atta a garantire le forniture alimentari e ad assicurare quasi 4 milioni di posti di lavoro.

Un impegno quotidiano senza sosta quello dell’approvvigionamento alimentare che già durante la prima ondata della pandemia è stato fondamentale per non far mai mancare il cibo sugli scaffali e nelle dispense delle famiglie.

Con l’attuale emergenza l’invito è di privilegiare i prodotti Made in Italy, duramente colpiti dalla chiusura anticipata alle 18,00 della ristorazione i cui effetti negativi si ripercuoteranno a cascata sull’agroalimentare nazionale. Si stima già una perdita di fatturato di oltre un miliardo per le mancate vendite di cibo e bevande nel solo mese di applicazione delle misure di contenimento.

Le restrizioni alle attività così previste devono prevedere un adeguato sostegno economico che coinvolga anche tutta la filiera agroalimentare nazionale, prima ricchezza del nostro Paese e traino per l’intero sistema economico con il Made in Italy. Sono previsti aiuti a fondo perduto per le imprese che saranno più colpite da queste nuove misure, ma non è chiaro se a beneficiarne saranno anche le aziende agricole.

La salute pubblica deve restare una priorità assoluta, ma senza essere miope di fronte alle conseguenze economiche che ne conseguiranno e che investiranno tutta la filiera agroalimentare dalla quale il settore ristorazione si sostiene.

21/10/2020 – IL RECOVERY FUND: LINEA GUIDA EUROPEE E…

Nell’ ultimo anno l’Europa si è trovata ad affrontare una grande sfida, dovuta all’emergenza sanitaria per COVID-19. La pandemia, così come definita a livello mondiale, non ha avuto solo ripercussioni sul piano sanitario, ma è proprio il caso di dire che “ha messo in ginocchio” le economie dei Paesi europei e, più in generale l’economia mondiale.

La catastrofe si è abbattuta sul mondo in maniera rapida e violenta, ma è arrivato comunque il momento di progettare “Piani di Ripresa e Resilienza” che possano risollevare le economie dei nostri Paesi.

L’Europa risponde e reagisce alla crisi mondiale con l’ideazione del cd. “Recovery Fund”, un’espressione di grande attualità, sia nella politica comunitaria che in quella interna dei singoli Paesi europei. E’ previsto lo stanziamento di 750 miliardi per rilanciare le economie dei 27 Stati membri travolti dalla crisi. La Commissione europea definisce le linee guida a cui i Governi dovranno attenersi nella stesura dei Piani Nazionali, per ottenere l’esborso del denaro. Tra i criteri principali: sostenibilità ambientale (in linea con l’European Green Deal), produttività, equità e stabilità macroeconomica. Inoltre, è previsto che almeno il 20% degli investimenti provenienti dal Fondo per la Ripresa sia destinato al finanziamento della transizione digitale.

Attualmente, il “Recovery Fund” è al vaglio del Parlamento Europeo e verrà poi ratificato dai Parlamenti nazionali. Ciascun Paese dovrà elaborare i propri “Piani di ripresa e resilienza”, che saranno negoziati passo per passo con le autorità comunitarie. Il termine ultimo di presentazione è fissato ad Aprile 2021, ma l’Italia ha deciso di anticipare questa scadenza, cominciando a portare le proprie proposte d’investimento al vaglio della Commissione Europea già dalla fine del mese di ottobre.

 Ebbene, spetterebbero al nostro Paese 209 miliardi di euro, di cui 81 miliardi in sussidi e 127 miliardi in prestiti. E’ l’occasione per rilanciare la nostra economia, ma bisognerà operare scelte oculate sulle strategie da adottare nei vari settori d’investimento.

Le missioni previste nel “Piano Nazionale di Resilienza” (PNRR) elaborato dal Governo sono incentrate su digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale e tutela della salute. Purtroppo, invece ancora non è prevista all’interno del PNRR una collocazione delle risorse finanziare per la rivalutazione e la crescita del settore agricolo, che da sempre è fondamento della nostra economia e della ricchezza del nostro Paese.

Infatti, anche la FAO ha evidenziato più volte che l’agricoltura rappresenta da sempre il fulcro della crescita dei nostri Paesi. Infatti, la crescita di questo settore avrebbe un’importanza e un’incidenza fondamentale sia sul piano economico, come produzione di prodotto interno lordo, che sociale, come lotta contro lo stato di disoccupazione. Ma non solo questo!

 La produzione agricola, deve essere intesa anche come stile di vita, come patrimonio, come identità culturale, come antico patto con la natura.  Così, tra gli altri importanti contributi del settore si annoverano soprattutto la tutela degli habitat e dei paesaggi, la conservazione del suolo, la gestione dei bacini idrici, la protezione della biodiversità, il sequestro di anidride carbonica e dei gas serra, che sono causa del tanto temuto riscaldamento globale. Questa rilevanza si riscontra anche nella coscienza sociale, che ricerca sempre di più soggiorni in luoghi tranquilli, dove si ha certezza della provenienza e della genuinità dei cibi che arrivano sulle tavole. In quest’ottica, la crescita del numero degli agriturismi, sempre più popolari sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo.

Ciò nonostante, soprattutto negli ultimi anni e per effetto della globalizzazione, abbiamo assistito alla chiusura di centinaia di migliaia di aziende. Molte sono state spinte fuori mercato dalla concorrenza straniera per via degli alti costi di produzione dovuti ai numerosi passaggi intermedi tra il produttore e il consumatore. Un discorso a parte poi, va fatto sulla produzione biologica, che spesso non è molto contestualizzata rispetto alle richieste di mercato ed ha elevati costi di produzione. Inoltre, tante aziende agricole cessano di esistere, perché i lavoratori non riescono a sopravvivere con la sola attività di coltura.

A questo punto è chiaro che bisogna intervenire con investimenti per l’utilizzo di nuove tecnologie, e pensare a trovare per i nostri coltivatori impieghi alternativi che però siano correlati alla loro attività abituale in senso stretto.

La speranza è che in occasione del “Recovery Fund”, il Governo sia pronto ad utilizzare una parte delle risorse stanziate dalla Comunità europea anche per rilanciare il settore agricolo, che è stato e sarà sempre la base della crescita e dell’identità del nostro Paese.

09/10/2020 – IL SALARIO MINIMO DEVE ESSERE OBBLIGATORIO ANCHE…

“Tutti nell’Unione devono avere i salari minimi. Funzionano ed è giunto il momento che il lavoro ripaghi”. Un concetto ribadito con forza dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von del Leyen, e indirizzato ai Paesi europei che ancora non si sono adeguati, come l’Italia.

L’obiettivo è quello di introdurre una direttiva vincolante per approvare un salario minimo in tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea. Attualmente l’Italia è tra i Paesi che non hanno il salario minimo per legge, a causa della contrattazione tra sindacati e datori di lavoro che copre circa l’80% della forza lavoro, nella quale non rientrano i precari, per i quali la misura del salario minimo è necessaria ad assicurarne una dignità economica e lavorativa.

La crisi Covid che stiamo vivendo ha reso ancora più urgenti le politiche per stabilizzare i redditi, puntando alla salvaguardia dei salari e alla definizione di un reddito minimo adeguato ai cambiamenti economici e sociali che si stanno imponendo nella nostra vita in maniera così irruenta e irreversibile. Il lockdown ha messo in evidenza come vi siano ancora categorie di lavoratori sottopagati, quegli stessi lavoratori che durante l’emergenza sanitaria hanno continuato a essere operativi e produttivi e in loro tutela è necessario intervenire con la definizione di regole vincolanti.

L’incertezza che stiamo vivendo non sembra vicina alla sua soluzione e l’obiettivo di ogni Paese deve essere quello di affrontarla in maniera determinante e modificandone i punti deboli che la crisi stessa mette in discussione. Queste sono occasioni di crescita e ripartenza verso un cambiamento e miglioramento che interessi e coinvolga tutti. E il salario minimo è un primo passo verso questa trasformazione.

07/10/2020 – PENSIONI: AD OTTOBRE SI RESTITUISCONO QUATTORDICESIME E…

Un’ amara sorpresa riserva ottobre ai pensionati che nel 2017 e 2018 hanno ricevuto “indebitamente”, loro malgrado, gli importi aggiuntivi per quattordicesima.

La prassi dell’Istituto è di erogare d’ufficio le somme aggiuntive di denaro in via provvisoria, e solo in seguito, in questo caso dopo due anni, effettua i controlli sulla base di quanto percepito dal pensionato nel corso dell’anno precedente, incrociando i dati con i redditi dichiarati in Anagrafe Tributaria.

Come si legge nella notizia pubblicata dall’ INPS il 30 settembre 2020, a gennaio e febbraio 2020, sulla base del reddito 2017 consolidato, sono state effettuate le verifiche relative alla quattordicesima erogata nel 2017 e nel 2018.

Dall’ esito di tale lavorazione, in presenza di indebiti, sono state inviate le relative comunicazioni informando i pensionati che il recupero sarebbe stato effettuato dal rateo di pensione di aprile 2020. Gli eventi Covid hanno portato l’INPS a sospendere l’effettivo avvio del recupero posticipandolo ad ottobre 2020.

Pertanto a partire da questo mese di ottobre 2020 l’INPS procederà, al recupero degli importi indebiti e che non sono stati oggetto di compensazione già avviata con il pagamento dei cedolini di luglio 2020 e settembre 2020. Il recupero verrà effettuato con trattenuta su pensione in 24 rate mensili.

A gennaio e febbraio 2020 si è proceduto anche alle verifiche relative all’ erogazione dell’ importo aggiuntivo di Euro 154,94 (legge 388/2000) riconosciuto ai titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria nonché delle forme pensionistiche obbligatorie gestite dagli Enti privatizzati il cui importo complessivo annuo, al netto dei trattamenti di famiglia, non superi l’importo di circa 6.686 euro l’anno. Tale recupero verrà ora avviato con trattenuta su pensione, in 12 rate, a decorrere dal rateo del mese di ottobre 2020.

Ricordiamo che il diritto alla quattordicesima scatta quando interviene il requisito di tipo anagrafico e uno di tipo economico. Sulla base del primo requisito, l’età del pensionato, l’Inps eroga in via preliminare la mensilità aggiuntiva, mentre per il requisito reddituale l’INPS procede ad accertare la veridicità delle informazioni, effettuando verifiche più approfondite presso l’Anagrafe Tributaria.

 

02/10/2020-PROROGA NASPI E DIS-COLL. COSA PREVEDE LA CIRCOLARE INPS…

Con la circolare n. 111 del 2020, l’INPS interviene a fornire le istruzioni relative alla proroga delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL, come previsto dal Decreto di Agosto.

La proroga dei due mesi a decorrere dal giorno di scadenza della Naspi è riservata a coloro che terminano il periodo di fruizione della Naspi tra il 1°maggio e 30 giugno 2020, non solo ma l’accesso all’estensione dell’indennità è soggetta ad ulteriori condizioni che ne precludono l’erogazione: 

  • il percettore non deve aver usufruito delle indennità previste dal Decreto Cura-Italia (definite agli articoli 27,28,29,30,38,44)
  • il percettore non deve aver beneficiato delle ulteriori misure assistenziali previste dall’ articolo 84 delle Legge n. 34/2020
  • il percettore non può essere stato beneficiario delle indennità a favore dei lavoratori domestici, dei lavoratori sportivi, così come previsto dalla citata legge 34/2020 agli articoli 85 e 98
  • Il percettore non deve aver usufruito delle indennità onnicomprensive e l’indennità a favore dei lavoratori marittimi e a favore dei pescatori autonomi.

Pertanto i lavoratori che hanno beneficiato delle misure urgenti previste dal Decreto Cura-Italia, Decreto Rilancio, dal decreto-legge 104/2020, non potranno beneficiare dell’estensione delle suddette indennità di disoccupazione.

L’erogazione delle due mensilità sarà fatta d’ufficio e l’importo sarà corrispondente a quanto percepito nell’ ultima mensilità per la prestazione originaria, con riconoscimento della contribuzione figurativa.

I casi di esclusione si estendono anche a quei percettori di Naspi e Dis-Coll che durante il periodo di fruizione della misura assistenziale abbiano maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata.

Inoltre qualora alla data di pubblicazione della Circolare 111/2020, il percettore delle suddette misure di sostegno al reddito, abbia presentato al domanda di certificazione Ape sociale o di pensione anticipata (legge 232/2016 art.1 commi 179 e 199) il riconoscimento della proroga sarà sospeso.  In alternativa, entro il 31 ottobre 2020, l’interessato potrà presentare la volontà di avvalersi della misura di proroga utilizzando il modello Naspi-Com.

 Infine la stessa Circolare precisa che per i lavoratori che cessano il rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale stipulato dalle organizzazioni sindacali avente ad oggetto un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro medesimo sono tenuti, potranno accedere alla indennità Naspi e in sede di presentazione della domanda dovranno allegare l’accordo e la documentazione attestante l’adesione alla proposta di risoluzione.

30/09/2020 – PENSIONI DI INABILITA’: PUBBLICATE LE MODALITA’ PER…

Il Decreto Agosto – in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n. 152/2020 – ha previsto il c.d. “incremento al milione” ai titolari di pensione di invalidità, a partire dal 18° anno di età. Con la circolare n. 107 del 23/09/2020, l’INPS ha chiarito la modalità per richiedere l’aumento delle pensioni di invalidità civile.

Per quanto concerne la domanda, gli invalidi civili al 100% l’aumento verrà riconosciuto d’ufficio a far data dal 1° dicembre con i dovuti arretrati dal 20 luglio 2020, sulla base dei dati che l’Istituto ha a disposizione, senza pertanto dover presentare alcuna domanda.

Invece i titolari di trattamenti previdenziali (legge n. 222/1984) dovranno presentare un’apposita richiesta all’ Inps entro il 9 ottobre 2020. Tale scadenza che potrebbe essere prorogata al 30 ottobre, ma l’Istituto per il momento è in attesa di conferma dal Ministero del Lavoro.

A decorrere dal 20 luglio 2020 per le prestazioni assistenziali di invalidità civile al 100% è riconosciuta una maggiorazione economica tale da garantire un reddito complessivo pari a 651,51 € per tredici mensilità, mentre per le prestazioni di inabilità questa sarà pari a € 516,46. Il diritto alla maggiorazione è riconosciuto a tutti i titolari di pensione di inabilità, in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, che hanno compiuto 18 anni di età e non più dai 60 anni come previsto finora.

A tal fine, il Decreto di Agosto ha destinato: 132 milioni di euro, per l’anno 2020; 400 milioni di euro annui, dall’ anno 2021.

Per quanto concerne i limiti reddituali, si specifica che:

  • il beneficiario non coniugato deve possedere redditi propri non superiori a 8.469,63euro
  • il beneficiario coniugato (non effettivamente e legalmente separato) deve possedere:
    • redditi propri di importo non superiore a 8.469,63 euro;
    •  redditi cumulati con quello del coniuge di importo annuo non superiore a 14.447,42 euro.

Non concorrono al calcolo reddituale i seguenti redditi:

  • il reddito della casa di abitazione,
  • le pensioni di guerra,
  • l’indennità di accompagnamento,
  • l’importo aggiuntivo di 154,94 euro previsto dal comma 7 dell’articolo 70 della legge 23 dicembre 2000, n. 388,
  • i trattamenti di famiglia,
  • l’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati.

17/09/2020 – PENSIONI. VECCHIO E NUOVO AL VAGLIO

Dopo la pausa estiva riparte il dibattito tra governo e parti sociali per mettere a punto gli interventi da inserire nella prossima Legge di Bilancio 2021. 

Nel 2022, con la fine della sperimentazione Quota 100 (requisito dei 62 anni di età e 38 anni di contributi), accadrà che  da un giorno all’altro (dal 31 dicembre 2021 al primo gennaio 2022) il requisito del pensionamento aumenterà di cinque anni, tornando al requisito anagrafico dei 67 anni della pensione di vecchiaia o quello contributivo per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).

Ed è questo il nodo fondamentale che la Manovro 2021 dovrà sciogliere.

Tra le altre ipotesi, si parla di proroga ed estensione dell’Ape social e Opzione Donna, e il superamento di Quota 100 in fase sperimentale fino al prossimo 2021, meccanismo che consente di andare a riposo con un minimo di 62 anni di età e 38 di contributi.

Ma vediamo quali sono le opzioni al vaglio, tra proroghe e nuove proposte: 

PROROGA DI OPZIONE DONNA: forma di pensione anticipata riservata alle lavoratrici donne i cui requisiti siano 35 anni di contributi e un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) e a 59 anni (per le lavoratrici autonome), con penalizzazione sull’ assegno mensile. 

PROROGA DELL’APE SOCIAL: consente a determinate categorie di lavoratori (disoccupati, caregiver, invalidi al 74%, addetti a mansioni gravose) di andare in pensione 63 anni, con 30 o 36 anni di contributi. 

QUOTA 41 PER I LAVORATORI PRECOCI: al momento questa misura è riservata ai cosiddetti lavoratori precoci, ossia quelli che all’ età di 19 anni avevano già versato almeno un anno di contributi. Una nuova forma di pensione anticipata basato però sul requisito contributivo (41 anni di contributi), in cui viene eliminato il vincoli di età. 

QUOTA 102: meccanismo per andare in pensione prima. La proposta prevede l’uscita anticipata a 64 anni di età con un minimo di 38 anni di contributi (da qui la denominazione Quota 102), accettando un taglio del 2,8-3% del montante retributivo (introdotto nel 1996 dalla riforma Dini) per ogni anno che serve per raggiungere quota 67 anni (ovvero il periodo ordinario per andare in pensione). 

La riforma previdenziale interesserebbe circa mezzo milione di italiani, e di questi una buona fetta potrebbe accedere all’ assegno pensionistico con 3 anni di anticipo ma con una riduzione del 3% circa 5% sull’ importo del trattamento.

L’opzione del pensionamento anticipato previsto da Quota 102 potrebbe divenire uno strumento di ammortizzazione sociale per quelle aziende atte a gestire la crisi aziendale che potrebbe proseguire nei prossimi mesi, soprattutto a seguito della fine dello stop ai licenziamenti introdotto in periodo di lockdown.

Il problema fondamentale restano le risorse necessarie a finanziare sia le due proroghe sia per la riforma vera e propria. 

Sul tema della riforma pensionistica, il Segretario Generale della C.I.S.A., dott. Zavaglia Pasquale, sostiene ora più che mai la necessario procedere verso una seria e strutturale riforma del sistema previdenziale, lavorando per un cambiamento concreto che perduri nel tempo, che non sia un provvedimento a scadenza, sperimentale e che consenta ai lavoratori di definire e programmare la propria vita anche in funzione di quella pensionistica. Deve venir meno l’incertezza della normativa pensionistica e il repentino cambiamento dei requisii di accesso ai benefici pensionistici.

Per questo è necessario intervenire sul funzionamento del sistema pensionistico prendendo come base di determinazione il fattore contributivo: ovvero ogni lavoratore dovrebbe accantonare per sé stesso, ad oggi invece si lavora per pagare le pensioni di chi già le percepisce, un sistema che funziona solo se in un Paese c’è piena occupazione.

La proposta è di intervenire sul metodo di calcolo che porta alla quota contributiva accumulata, ovvero utilizzare come aliquota di computo il 50% della contribuzione versata, un’aliquota univoca sia per i dipendenti quanto per i lavoratori autonomi.  In tal modo si otterrebbe un montante più rispondente alla vita lavorativa reale e insieme ripensare il concetto di “aspettativa di vita” (altro elemento portante nel sistema pensionistico attuale) e rapportarlo in primis alle tipologie di lavori e mansioni svolte. 

Il metodo di pensionamento dovrebbe essere immune al concetto di “quota” e definirsi solo sul requisito anagrafico e del minimo contributivo versato per l’accesso alla pensione di vecchiaia, pensando anche all’ introduzione della flessibilità in uscita su base volontaria, a fronte di penalizzazioni accettabili per il lavoratore.

Alla base di ogni ragionamento sul tema pensionistico, il Segretario Generale della C.I.S.A. dott. Zavaglia Pasquale ricorda che deve assicurarsi la tutela dei diritti acquisiti dei lavoratori, quei diritti che devono essere riconosciuti e tutelati sia a chi è già in quiescenza sia a coloro che dopo anni di lavoro e sacrificio meritano un pensionamento certo.

 

14/09/2020 – LA BUROCRAZIA CI SOFFOCA PIU’ DELL’EVASIONE FISCALE

Nella lotta quotidiana alla sopravvivenza economica e sociale del nostro Paese, il colpo di grazia è inflitto dalla macchina burocratica, alla quale ognuno di noi, Stato compreso, è indissolubilmente legato.

In ogni momento della nostra esistenza sociale e di appartenenza ad uno Stato organizzato, abbiamo necessità di attuare procedure burocratiche, per iscrivere i nostri figli a scuola, per accedere agli uffici di pubblica utilità come l’ufficio del fisco, o gli uffici preposti alla gestione dell’avvio di nuove attività economiche, accedere ai servizi delle strutture sanitarie pubbliche. I luoghi preposti a fungere da guida e aiuto per il cittadino-contribuente, quasi sempre si tramutano come il nostro peggior nemico, a causa delle difficoltà che si incontrano nel reperire le informazioni giuste di cui necessitiamo, e per la farraginosità delle procedure da attuare. In due parole: l’inefficienza burocratica, dalla quale purtroppo nessuno è esonerato.

Diversamente da quanto si pensa, l’evasione fiscale non è il peggiore dei nostri mali, quanto piuttosto il danno economico determinato dall’ inefficienza della P.A.

Da un’analisi condotta dall’ Ufficio Studi della CGIA di Mestre, è emerso come il costo della burocrazia (circa 200 miliardi di euro all’ anno) superi del doppio il danno arrecato all’ erario (circa 110 miliardi di euro l’anno) con l’evasione fiscale. Certo l’evasione non è il nostro peggior nemico, ma se si colmasse questo buco probabilmente anche la macchina burocratica funzionerebbe meglio.

Dall’ analisi elaborata dalla CGIA emerge l’elevato costo annuo che le imprese devono sostenere per la burocrazia e la gestione dei rapporti con la P.A.: si stima una spesa di 57 miliardi di euro; segue il dato sui debiti contratti nei confronti di privati fornitori dalla P.A: ammontano a oltre 53 miliardi di euro. La giustizia civile ci costa 40 miliardi di euro l’anno; mentre gli sprechi nella sanità pubblica incido sul Pil per 24 miliardi di euro circa.  

Con questi numeri è doveroso intervenire sugli sprechi dello Stato, determinati anche dalle innumerevoli norme che fanno del nostro quadro normativo quello più complesso e caotico, rispetto per esempio a quello di alti Paese europei.  Si stima che in Italia vi siano circa 160000 norme tra statali, regionali e locali.

E questo quadro normativo così intricato e per nulla snello è stato tale anche in questa emergenza sanitaria ed economica, come accaduto a migliaia di attività economiche che non sono riuscite ad accedere agli aiuti economici messi a disposizione dal Governo per far fronte alla mancanza di liquidità improvvisa dovuta al lockdown, o ai ritardi riscontrati nei pagamenti degli ammortizzatori sociali destinati a quei lavoratori che improvvisamente sono passati alla Cassa integrazione, o che hanno perso la propria occupazione.

Il prossimo futuro sarà ancora tortuoso a causa dell’emergenza sanitaria, sociale ed economica che ci ha investiti e che ci accompagnerà ancora per molto. E in questo quadro, come afferma il Segretario Generale della C.I.S.A., dott. Zavaglia Pasquale, è importante pensare alla semplificazione normativa in modo da accelerare i tempi di risposta della macchina statale: attraverso la riduzione del numero di leggi, e il monitoraggio e la valutazione del loro impatto sul tessuto sociale per poterne valutare miglioramenti, consolidare l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, attraverso la standardizzazione delle procedure telematiche, la formazione del personale pubblico, l’interconnessione delle banche dati.

Il decreto semplificazioni è stato approvato in via definitiva il 10 settembre scorso, ma le misure di semplificazione pensate non sembrano preannunciare quell ’impatto sul dinamismo e sull’ efficienza di cui l’attuale Società Italiana necessità per rispondere alle sfide del prossimo futuro.

                                                                                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                                                                                           

09/09/2020 – PENSIONATI: UNA REALTÀ DI OLTRE 17 MILIONI…

I pensionati in Italia sono 17,8 milioni e valgono circa 200 miliardi di euro, secondi i dati pubblicati dall’ INPS a inizio 2019.

Una fetta cospicua di italiani che rappresenta una parte preziosa della popolazione e ancora svolge un ruolo decisivo per aiutare figli e nipoti, da tutelare a vari livelli sociali ed economici. A partire dalla sanità, per la quale è necessario fare investimenti affinché torni ad essere pubblica, gratuita e universale.

Memori di quanto accaduto durante l’emergenza Covid, è fondamentale ripensare di riorganizzare il sistema delle RSA perché troppo spesso fuori dal contesto sociale e dotate di personale inadeguato. Serve un potenziamento della medicina territoriale e assistenza domiciliare da privilegiare, ove possibile, al ricovero nelle strutture assistenziali. E’ necessario lavorare per la tutela e la dignità dei pensionati d’Italia, garantendo i livelli essenziali di assistenza e integrazione sociosanitaria a livello nazionale.

Coinvolgimento attivo è l’altro imperativo: sono necessarie politiche per l’invecchiamento attivo, e soprattutto in salute, proteggendo il potere d’acquisto delle pensioni, dai rapidi cambiamenti socioeconomici che viviamo quotidianamente, attraverso una riforma che intervenga sulla riduzione dell’imposizione fiscale, e l’allargamento dei beneficiari della quattordicesima mensilità.

I pensionati sono una parte fondamentale della nostra società, è grazie a loro che le famiglie possono attraversare e superare i momenti di crisi economica e sociale che ci stanno investendo, ed è necessario salvaguardarne la lor vita, la loro dignità e la loro salute.