21/10/2020 – IL RECOVERY FUND: LINEA GUIDA EUROPEE E…
Nell’ ultimo anno l’Europa si è trovata ad affrontare una grande sfida, dovuta all’emergenza sanitaria per COVID-19. La pandemia, così come definita a livello mondiale, non ha avuto solo ripercussioni sul piano sanitario, ma è proprio il caso di dire che “ha messo in ginocchio” le economie dei Paesi europei e, più in generale l’economia mondiale.
La catastrofe si è abbattuta sul mondo in maniera rapida e violenta, ma è arrivato comunque il momento di progettare “Piani di Ripresa e Resilienza” che possano risollevare le economie dei nostri Paesi.
L’Europa risponde e reagisce alla crisi mondiale con l’ideazione del cd. “Recovery Fund”, un’espressione di grande attualità, sia nella politica comunitaria che in quella interna dei singoli Paesi europei. E’ previsto lo stanziamento di 750 miliardi per rilanciare le economie dei 27 Stati membri travolti dalla crisi. La Commissione europea definisce le linee guida a cui i Governi dovranno attenersi nella stesura dei Piani Nazionali, per ottenere l’esborso del denaro. Tra i criteri principali: sostenibilità ambientale (in linea con l’European Green Deal), produttività, equità e stabilità macroeconomica. Inoltre, è previsto che almeno il 20% degli investimenti provenienti dal Fondo per la Ripresa sia destinato al finanziamento della transizione digitale.
Attualmente, il “Recovery Fund” è al vaglio del Parlamento Europeo e verrà poi ratificato dai Parlamenti nazionali. Ciascun Paese dovrà elaborare i propri “Piani di ripresa e resilienza”, che saranno negoziati passo per passo con le autorità comunitarie. Il termine ultimo di presentazione è fissato ad Aprile 2021, ma l’Italia ha deciso di anticipare questa scadenza, cominciando a portare le proprie proposte d’investimento al vaglio della Commissione Europea già dalla fine del mese di ottobre.
Ebbene, spetterebbero al nostro Paese 209 miliardi di euro, di cui 81 miliardi in sussidi e 127 miliardi in prestiti. E’ l’occasione per rilanciare la nostra economia, ma bisognerà operare scelte oculate sulle strategie da adottare nei vari settori d’investimento.
Le missioni previste nel “Piano Nazionale di Resilienza” (PNRR) elaborato dal Governo sono incentrate su digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale e tutela della salute. Purtroppo, invece ancora non è prevista all’interno del PNRR una collocazione delle risorse finanziare per la rivalutazione e la crescita del settore agricolo, che da sempre è fondamento della nostra economia e della ricchezza del nostro Paese.
Infatti, anche la FAO ha evidenziato più volte che l’agricoltura rappresenta da sempre il fulcro della crescita dei nostri Paesi. Infatti, la crescita di questo settore avrebbe un’importanza e un’incidenza fondamentale sia sul piano economico, come produzione di prodotto interno lordo, che sociale, come lotta contro lo stato di disoccupazione. Ma non solo questo!
La produzione agricola, deve essere intesa anche come stile di vita, come patrimonio, come identità culturale, come antico patto con la natura. Così, tra gli altri importanti contributi del settore si annoverano soprattutto la tutela degli habitat e dei paesaggi, la conservazione del suolo, la gestione dei bacini idrici, la protezione della biodiversità, il sequestro di anidride carbonica e dei gas serra, che sono causa del tanto temuto riscaldamento globale. Questa rilevanza si riscontra anche nella coscienza sociale, che ricerca sempre di più soggiorni in luoghi tranquilli, dove si ha certezza della provenienza e della genuinità dei cibi che arrivano sulle tavole. In quest’ottica, la crescita del numero degli agriturismi, sempre più popolari sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo.
Ciò nonostante, soprattutto negli ultimi anni e per effetto della globalizzazione, abbiamo assistito alla chiusura di centinaia di migliaia di aziende. Molte sono state spinte fuori mercato dalla concorrenza straniera per via degli alti costi di produzione dovuti ai numerosi passaggi intermedi tra il produttore e il consumatore. Un discorso a parte poi, va fatto sulla produzione biologica, che spesso non è molto contestualizzata rispetto alle richieste di mercato ed ha elevati costi di produzione. Inoltre, tante aziende agricole cessano di esistere, perché i lavoratori non riescono a sopravvivere con la sola attività di coltura.
A questo punto è chiaro che bisogna intervenire con investimenti per l’utilizzo di nuove tecnologie, e pensare a trovare per i nostri coltivatori impieghi alternativi che però siano correlati alla loro attività abituale in senso stretto.
La speranza è che in occasione del “Recovery Fund”, il Governo sia pronto ad utilizzare una parte delle risorse stanziate dalla Comunità europea anche per rilanciare il settore agricolo, che è stato e sarà sempre la base della crescita e dell’identità del nostro Paese.